La presenza Salesiana a Lecce

L’apertura della Casa Salesiana di Lecce non fu certamente un avvenimento improvviso o accidentale, ma fu il frutto di una preparazione lunga e meditata. Infatti, già nel 1919, all’indomani della Prima Guerra Mondiale, l’allora vescovo di Lecce, mons. Gennaro Trama, invitò la Congregazione ad aprire una Casa per
prendersi cura degli orfanelli ospitati nell’Istituto Garibaldi. I tempi, evidentemente, non erano maturi e l’invito di mons. Trama fu gentilmente declinato anche se con la promessa che i Salesiani sarebbero nel futuro venuti a Lecce.

Ma il carisma di don Bosco era troppo forte per non subirne il fascino, tanto è vero che in città si costituì un nucleo di Cooperatori Salesiani, sotto la guida del canonico mons. Antonio Agrimi, che partecipò nel 1929 a Roma alla cerimonia di beatificazione di don Bosco. Di questo primo nucleo ci resta un documento di arte figurativa. Prima di partire per la capitale, nella chiesa di S. Teresa si tenne un solenne triduo e, nell’occasione furono donate e lì tuttora si trovano incastonate, due artistiche formelle in cartapesta
raffiguranti il famoso sogno dei nove anni e il piccolo Giovannino mentre fa catechismo ai suoi coetanei.

Passeranno ancora nove anni prima che l’allora ispettore don Festini si mettesse in contatto con mons. Agrimi e con il prof. Mariano per concordare l’apertura di una Casa a Lecce. Inutile qui stare a ripercorrere l’iter dei laboriosi incontri, dei sopralluoghi per la scelta del sito, certo è che fu deciso di acquistare in via Arte del Cemento una vecchia fabbrica di laterizi e, firmato il compromesso il 10 novembre 1940, si concluse il contratto nel gennaio del 1941. Purtroppo la Seconda Guerra Mondiale sconvolse tutti i progetti: la fabbrica fu requisita dall’Autorità Militare per alloggiare le truppe e solamente nel 1947 fu lasciata del tutto libera. Appena il tempo di ripulirla molto ma molto sommariamente e il 14 novembre 1949 i Salesiani prendevano possesso della loro Casa. L’avvenimento ebbe un gustoso retroscena, infatti don Ciro Santoro – primo direttore – aveva consegnato le chiavi dell’immobile alla sig.ra Giuseppina Del
Coco, che abitava proprio lì accanto, dicendole che sarebbe tornato dopo qualche giorno a riprendersele. Ma nel pomeriggio del 14 novembre arrivò a Lecce per primo don Vincenzo Guastaferro che,
preventivamente avvisato dal confratello, si recò dalla sig.ra Del Coco per richiedere le chiavi. La brava donna non conosceva quel prete e rifiutò categoricamente la consegna, addirittura scambiandolo per un ladro travestito, per cui il povero don Guastaferro fu costretto a… passeggiare sino all’arrivo di don
Santoro. Ma la cosa non finì li. Infatti, i figlioli della sig.ra Del Coco, attratti da quei preti che in maniche di camicia tentavano di rattoppare alla meno peggio i guasti della vecchia fabbrica, cominciarono un’assidua frequentazione di quel seme di oratorio, trascorrendovi più tempo che non in casa. Il fatto non poteva non insospettire la loro mamma che una sera, di soppiatto ed armata di un robusto bastone, s’introdusse nell’edificio sorprendendo i due preti ed i figlioli intenti a giocare… a carte. La reazione è facilmente
intuibile: il bastone, anche se non di pregiato ciliegio come quello di cui si dotava don Camillo per incontrare Peppone, ebbe il suo bel da fare sulle spalle dei malcapitati che si dovettero anche sorbire tutta una serie di improperi che il rispetto ci impedisce di riferire.

Come se non bastasse, la sig.ra Del Coco dapprima si confidò col suo parroco che tentò di rassicurarla senza riuscirci, poi si rivolse direttamente al Vescovo, allarmata dal poco dignitoso abbigliamento
dei due preti – da lei ritenuti protestanti – e dal loro comportamento con i ragazzi. Mons. Costa, che sapeva bene chi fossero i due incriminati, rassicurò la donna che però andò via poco convinta
tanto che affermò di credergli solo perché era il Vescovo a dirlo. Non aveva tutti i torti ad insospettirsi la brava donna che, quotidianamente, vedeva i due poveretti darsi da fare come muratori, idraulici, falegnami per rendere abitabile l’edificio quanto meno per evitare di dormire con gli ombrelli aperti sul letto. Mancavano gli infissi, i servizi igienici erano inesistenti, solo l’intonaco c’era ma sbriciolato per terra, in definitiva una vera desolazione. Ma non furono lasciati soli per molto tempo. Già la stessa sig.ra Del Coco prese ad ammirare il dinamismo e l’operosità dei due Salesiani e prestò i suoi primi servigi: rammendare una talare, rattoppare le camicie, lavare i panni, preparare i pasti, diventò veramente una mamma Margherita e ad essa si unirono ben presto tantissimi altri leccesi che, avvicinatisi per curiosità, rimasero vicini ai due preti con ammirazione. Fu finalmente possibile affidare i lavori di restauro e ristrutturazione ad una ditta che trasformò la vecchia fabbrica, dotandola di una cappella, un ampio teatro, le stanzette per il personale della Casa, le aule per il catechismo e per le altre attività.

Con il passare degli anni la vecchia fabbrica riadattata cominciò ad andare stretta, i giovani sembravano moltiplicarsi ed ancor più nel 1954 dopo l’elevazione di Domenico Savio agli onori degli altari, grazie ai due miracoli che questo Adolescente compì proprio nel Salento. I Salesiani cominciarono a guardarsi attorno per individuare un terreno che facesse alla bisogna. Ma dove? Siamo nel 1957, il direttore
don Carmelo Tuscano fa una passeggiata sulla circonvallazione, ora viale Leopardi, con don Grifa e don Di Nanni, da cinque anni a Lecce, e giunti in prossimità dell’attuale incrocio con via S. Domenico Savio proprio don Grifa ebbe a considerare che forse in quella zona sarebbe potuta sorgere la progettata chiesa in onore del Santo adolescente. Fu una profezia! Tre anni dopo iniziarono le trattative con il comm.
Francesco Sellitto per l’acquisto della zona ed il 20 aprile del 1961 veniva firmato il compromesso di acquisto di 13 ettari di quel terreno indicato da don Grifa. Il 9 settembre dello stesso anno veniva stipulato il regolare contratto di acquisto per rogito del notaio Gloria. La vecchia struttura di via Arte del
Cemento, divenuta nel frattempo via don Bosco, viene venduta ed abbattuta nel 1963.

I salesiani, in attesa della nuova, sono senza casa e fino al 1970 fanno sentire la loro presenza grazie alla generosità del sig. Giulio Pascali che mette a disposizione la sua abitazione in via dei Palumbo. La stasi è solo apparente perché nel 1964 vengono appaltati i lavori per la costruzione del Centro di Formazione Professionale che abiliterà al lavoro centinaia e centinaia di giovani diventati provetti metalmeccanic o elettrotecnici. Le cronache della Casa sono ricche di annotazioni e consentono di seguire, si potrebbe dire giorno per giorno, l’evolversi della situazione documentando la ripresa delle attività parrocchiali e oratoriane nel 1970, la benedizione della prima pietra dell’erigendotempio impartita da Mons. Francesco Minerva il 19 marzo 1971 e via via la costruzione di tutto il complesso. Il resto è storia dei nostri giorni.
Il 1° maggio del 1974 viene consacrata la parrocchia, quindi quest’anno è ricorso il 25° anniversario; il 16 aprile del 1984 si ha l’erezione a basilica minore, sono infatti 15 anni che esiste questa basilica unica al mondo dedicata al Santo; mentre l’attività pastorale è un continuo ribollire di iniziative in favore dei
circa 10.000 parrocchiani e dei giovani che da tutte le parti della città si rivolgono ai Salesiani. Accanto ai tradizionali rami della Famiglia salesiana. Oratorio, cooperatori ed exallievi, fioriscono i nuovi germogli: le
Famiglie don Bosco e i Testimoni del Risorto, e trovano ampio spazio anche gruppi e movimenti di estrazione diversa quali i Neocatecumeni, il Rinnovamento nello Spirito, l’Equipe Notre Dame.

Un dato balza prepotentemente all’attenzione. Qualunque sia il settore di servizio, tra Salesiani e laici si crea un legame invisibile, una sorta di cordone ombelicale che non recide mai. Non importa che ci si trovi in un’altra città, non fa alcuna differenza che siano trascorsi otto, nove o dieci lustri, il ricordo dei
Salesiani è e rimane indelebile nella mente e nel cuore di chi accanto a loro ha trascorso l’adolescenza, la giovinezza o dedica la sua maturità.


Quest’anno che ormai volge al termine è stato veramente un kairòs, un tempo di grazia per la
Casa Salesiana di Lecce: quindici anni dalla erezione a basilica, 25 dalla consacrazione della parrocchia, 50 dalla venuta nella nostra città. E’ stato un percorso ricco e fecondo, anche se non privo di amarezze e difficoltà; un percorso che ha avuto un solo fine: fare la più bella passeggiata ed il più bel gioco, condurre
tantissimi giovani in paradiso; un percorso che proietta nel nuovo millennio i Salesiani ancora
impegnati in favore delle generazioni future che troveranno sempre un salesiano pronto ad affiancarle, ad asciugare le loro lacrime, ad aiutarle a sopportare le sofferenze, a gioire per i loro successi, ad aiutarle ad affrontare la vita alla luce di valori eterni ed immutabili, ma con la forza, la serenità ed il coraggio che rendono la vita degna di essere vissuta.