San Domenico Savio, il santo bambino plasmato da don Bosco
Ancora bambino decise quale sarebbe stato il suo progetto di vita: vivere da vero cristiano e in questo fu decisivo l’incontro con don Bosco. Da quel momento infatti la sua esistenza fu piena d’amore e carità verso il prossimo, cercando in occasione di dare l’esempio. Nel 1856 fondò la Compagnia dell’Immacolata e poco più tardi morì quasi quindicenne divenendo così il più giovane santo cattolico non martire.
Quando Domenico Savio morì, Don Bosco era talmente convinto della sua santità che decise di pubblicarne subito la biografia. In effetti, questo ragazzo morto a poco più di quattordici anni aveva tutte le carte in regola per essere additato come modello ai giovani. Domenico nacque a Riva di Chieri, in provincia di Torino, il 2 aprile 1842. Il padre era un fabbro ferraio, la mamma una brava sarta. Due anni dopo, per motivi di lavoro, la famiglia si trasferì a Murialdo, a poca distanza da Castelnuovo d’Asti, paese natale di Don Bosco. Il cappellano Don Giovanni Battista Zucca, rimase colpito dalla precocità spirituale del ragazzino, tanto che decise di ammetterlo a 7 anni – cosa straordinaria per quei tempi – alla prima comunione. Quel giorno (era la domenica di Pasqua del 1849) su un foglietto conservato da lui in un libro di preghiere e trovato poi da Don Bosco, il piccolo Domenico scrisse testualmente: “1. Mi confesserò molto sovente e farò la comunione tutte le volte che il confessore mi darà licenza. 2. Voglio santificare i giorni festivi. 3. I miei amici saranno Gesù e Maria. 4. La morte, ma non peccati”. Questi propositi furono il suo programma di vita.
All’inizio del 1853 la famiglia Savio si trasferì, sempre per motivi di lavoro, a Mondonio, un piccolo borgo nei pressi di Castelnuovo, dove il ragazzo terminò le scuole elementari. Il suo maestro, Don Cugliero, riferì in una lettera inviata all’Archivio salesiano centrale un episodio particolarmente significativo: durante l’inverno 1853- 54, i ragazzi dovevano portare a scuola, oltre ai libri, un po’ di legna per alimentare la stufa. Due alunni, approfittando del fatto che il maestro non era ancora arrivato, non solo non portarono legna, ma riempirono la stufa di neve, mandando poi sulle furie Don Cugliero che cercò subito il colpevole. I due teppistelli accusarono l’ignaro Domenico, il quale per castigo fu messo in ginocchio sul pavimento dell’aula. Alla fine della mattinata però alcuni compagni raccontarono al prete come erano realmente andate le cose. Costui rimase senza fiato e alla domanda perché non si fosse difeso, Domenico gli rispose con semplicità: “Anche il Signore è stato calunniato ingiustamente. E non si è mica ribellato”. Impressionato da quanto accaduto, il sacerdote andò da Don Bosco a Torino per segnalargli questo alunno fuori del comune: “Lei nella sua casa”, gli disse, “difficilmente avrà chi lo superi in talento e virtù. Ne faccia la prova, e troverà un san Luigi”.
L’incontro con Don Bosco: “Mi aiuti a farmi Santo?”
L’incontro tra i due santi avvenne nel cortile della casetta dei Becchi il 2 ottobre 1854. Si parlarono a lungo, poi Domenico domandò: “Allora, che pensa di me? Mi porterà a Torino per studiare?”. Don Bosco, sapendo che la mamma del Savio era una sarta, rispose: “Mi pare che in te ci sia della buona stoffa… può servire a fare un bell’abito da regalare al Signore”. E Domenico: “Dunque io sono la stoffa. Lei ne sia il sarto, mi prenda con lei e farà un bell’abito per il Signore”. Poche settimane dopo, il 22 ottobre, il giovane approdava all’oratorio di Valdocco. Nell’ufficio di Don Bosco fece la sua prima traduzione dal latino. Sulla parete campeggiava il motto che il santo aveva fatto suo facendosi prete: Da mihi animas, coetera tolle, dammi le anime prenditi il resto: “Ho capito”, commentò il ragazzo: “Qui si cercano anime per il Signore. Spero che anche la mia sarà del Signore”. L’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione di Maria, che Pio IX in quello stesso giorno proclamava solennemente come dogma di fede, Domenico – riferisce Don Bosco – “compiute le sacre funzioni in chiesa, col consiglio del confessore andò avanti all’altare di Maria, rinnovò le promesse fatte nella prima comunione, poi disse: ‘Maria, vi dono il mio cuore: fate che sia sempre vostro, Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei! Ma per pietà, fatemi morire piuttosto che m’accada la disgrazia di commettere un solo peccato’”. Da quel momento, Don Bosco cominciò a osservare attentamente la condotta esemplare del giovane e a prendere nota degli episodi più significativi. La primavera successiva, precisamente il 24 giugno, cadeva l’onomastico di Don Bosco, il quale scherzosamente aveva chiesto ai suoi ragazzi – per “pagare la festa” – di indicare su un biglietto quale regalo desiderassero da lui. Domenico scrisse: “Mi aiuti a farmi santo”. Don Bosco gli indicò la “ricetta” giusta per la santità: allegria, osservare i doveri di studio e di preghiera, far del bene agli altri. Da quel momento fino alla morte Domenico si sforzò di essere esemplare in tutto: si notavano in lui una pietà profonda unita a una serena allegria; e un impegno speciale per venire in aiuto ai compagni, magari giocando con uno che era trascurato dagli altri, facendo ripetizione a chi ne aveva bisogno, o assistendo quelli malati. Circa un anno dopo, il Savio ebbe un’idea: formare un gruppo di ragazzi per far del bene insieme, una specie di società che chiamò Compagnia dell’Immacolata e che fu subito approvata da Don Bosco.
Sul letto di morte: “Che bella cosa io vedo mai!”
Non mancarono manifestazioni straordinarie di doni carismatici. Una sera, racconta Don Bosco nella biografia di Domenico, il ragazzo gli chiese di seguirlo in fretta perché c’era “una bell’opera da fare”. Uscito di casa, percorse diverse strade finché si fermò al terzo piano di un caseggiato, sempre seguito da Don Bosco: “È qui che deve entrare” gli disse. Sulla porta comparve una donna che lo pregò di confessare suo marito gravemente infermo il quale, dopo essersi fatto protestante, voleva morire da buon cattolico. Il giorno dopo, alla domanda di come avesse saputo di quel moribondo, Domenico guardò Don Bosco con aria addolorata e poi si mise a piangere. Il santo prete non osò chiedergli altro. L’ultima sorella di Domenico rivelò sotto giuramento che un giorno il Savio chiese il permesso di andare a visitare sua madre che era in attesa di un bambino e si trovava in condizioni molto gravi. Il ragazzo appena la vide le buttò le braccia al collo, le diede un bacio e ripartì la sera stessa per Torino. La donna si sentì subito meglio e il parto avvenne regolarmente. Al collo le trovarono un nastro a cui era attaccato un pezzo di seta piegata e cucita come un abitino. A Don Bosco che gli chiedeva come stava la mamma Domenico rispose: “L’ha fatta guarire l’abitino della Madonna che le ho messo al collo”. Per questo, Domenico è invocato anche come “il santo delle culle e delle partorienti”.
Intanto, però, verso la fine del 1856 la sua salute cominciò a dare seri prolemi. Tra l’altro, due suoi fratellini erano già morti a Mondonio in tenera età e anche lui era molto gracile. Nel febbraio 1857 cominciò a tormentarlo una tosse insistente mista a febbre. Allora, purtroppo, non c’erano gli antibiotici e queste forme spesso erano letali. Don Bosco decise di fargli sospendere gli studi e di rimandarlo in famiglia per curarsi. Domenico si mise a letto il 4 marzo e in soli cinque giorni una grave polmonite lo stroncò. Non aveva ancora quindici anni. Chi gli era vicino racconta che prima di spirare gli si illuminò il volto mentre esclamava: “Che bella cosa io vedo mai!”. Nel 1914 i suoi resti mortali furono traslati a Torino nella basilica di Maria Ausiliatrice.
I salesiani lo festeggiano il 6 maggio
Pio XI lo definì “Piccolo, anzi grande gigante dello spirito”. Dichiarato eroe delle virtù cristiane il 9 luglio 1933, il venerabile pontefice Pio XII beatificò Domenico Savio il 5 marzo 1950 e, in seguito al riconoscimento di altri due miracoli avvenuti per sua intercessione, lo canonizzò il 12 giugno 1954. Domenico, quasi quindicenne, divenne così il più giovane santo cattolico non martire. I suoi resti mortali, collocati in un nuovo reliquiario realizzato in occasione del 50° anniversario della canonizzazione, sono venerati nella Basilica torinese di Maria Ausiliatrice. E’ patrono dei pueri cantores, nonché dei chierichetti, entrambe mansioni liturgiche che svolse attivamente. Altrettanto nota è la sua speciale protezione nei confronti delle gestanti, tramite il segno del cosiddetto “abitino”, in ricordo del miracolo con cui il santo salvò la vita di una sua sorellina che doveva nascere. La memoria liturgica del santo è stata fissata al 9 marzo, mentre per la Famiglia Salesiana e per le diocesi piemontesi è stata posta al 6 maggio, in quanto l’anniversario della morte cadrebbe in Quaresima.
La sua biografia completa
Domenico Savio nasce nella borgata di San Giovanni, frazione di Riva presso Chieri (Torino), il 2 aprile 1842, da Carlo e Brigida Gaiato. È il secondo di 10 fratelli. Il padre viene da Ranello, frazione di Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo don Bosco) ed esercita la professione di fabbro; la madre è originaria di Cerreto d’Asti e fa la sarta. Domenico è battezzato il giorno stesso della nascita nella chiesa parrocchiale di Riva presso Chieri, come risulta dall’atto di Battesimo firmato dal parroco don Vincenzo Burzio.
L’anno 1843
Nel novembre del 1843 la famiglia Savio si trasferisce a Morialdo, frazione di Castelnuovo d’Asti, a un chilometro circa dai Becchi, dove si trova la casa di don Bosco. Qui Domenico vive una fanciullezza serena, ricca di affetto e docile agli insegnamenti religiosi che gli vengono dai genitori, profondamente cristiani. Tappa fondamentale del suo straordinario percorso di santità è la Prima Comunione, alla quale è ammesso eccezionalmente all’età di soli 7 anni. Di quell’evento sono noti i “Propositi”: “1° Mi confesserò molto sovente e farò la comunione tutte le volte che il confessore mi dà licenza. 2° Voglio santificare i giorni festivi. 3° I miei amici saranno Gesù e Maria. 4° La morte ma non peccati”. Questi propositi, che Domenico rinnoverà ogni giorno di vita e che segneranno l’esistenza di tanti altri ragazzi santi, esprimono già un grande livello di santità, un lavoro della Grazia che don Bosco stesso riconoscerà, apprezzerà e orienterà verso alte vette.
Domenico cresce e vuole imparare. Va a scuola a costo di molta fatica: 15 chilometri circa, ogni giorno, solo, per strade insicure: “Caro mio, non temi di camminar tutto solo per queste strade?”, gli chiede un compagno. “Io non sono solo, ho l’angelo custode che mi accompagna in tutti i passi”. I compagni lo chiamano a tuffarsi nelle onde di un torrente. Lui capisce che la cosa non è buona e volta loro le spalle e se ne va per la sua strada. Ha solo dieci anni, ma ha la stoffa del capo. Una mattina d’inverno, a scuola, mentre si attende il maestro, i compagni riempiono la stufa di sassi e di neve. Al maestro, irato, i compagni dicono: “È stato Domenico!”. Lui non si discolpa, non protesta e il maestro lo castiga severamente, mentre gli altri sghignazzano. Ma all’indomani la verità si viene a sapere. “Perché – gli domanda il maestro – non mi hai subito detto che tu eri innocente?”. Domenico risponde: “Perché quel tale essendo già colpevole di altri falli sarebbe forse stato cacciato di scuola, dal canto mio speravo di essere perdonato essendo la prima mancanza di cui ero accusato nella scuola; d’altronde pensavo anche al nostro Divin Salvatore, il quale fu ingiustamente calunniato”. Nel febbraio del 1853 la famiglia Savio, per motivi di lavoro, va ad abitare a Mondonio, a 5 km circa da Morialdo.
Domenico Savio e Don Bosco
Il prete insegnante di Mondonio, don Cugliero, era stato compagno di seminario di don Bosco. Incontrandolo un giorno gli parlò di Domenico come di “un suo allievo per ingegno e per pietà degno di particolare riguardo. Qui in sua casa – egli diceva – può aver giovani uguali, ma difficilmente avrà chi lo superi in talento e virtù. Ne faccia la prova e troverà un San Luigi”. Il 2 ottobre 1854, in occasione della festa della Madonna del Rosario, Domenico con il papà incontra don Bosco ai Becchi: è la tappa decisiva per il suo cammino verso la santità. Domenico chiede a don Bosco di essere ammesso all’oratorio di Torino, perché desidera ardentemente studiare per diventare sacerdote. Don Bosco ne rimane sbalordito: “Conobbi in lui un animo tutto secondo lo spirito del Signore, e rimasi non poco stupito considerando i lavori che la Grazia divina aveva già operato in quel tenero cuore”. E gli disse: “Eh! Mi pare che ci sia buona stoffa”. Franco e deciso, utilizzando come metafora il lavoro della madre, Domenico rispose: “Dunque io sono la stoffa: ella ne sia il sarto; dunque mi prenda con lei e farà un bell’abito pel Signore”.
Domenico arrivò all’oratorio il 29 ottobre del 1854, al termine della micidiale pestilenza di colera che aveva decimato la città di Torino. Divenne subito amico di Michele Rua, Giovanni Cagliero, Giovanni Bonetti e Giuseppe Bongiovanni con cui si accompagnava recandosi a scuola in città. Con ogni probabilità non seppe niente della “Società salesiana” di cui don Bosco aveva cominciato a parlare ad alcuni dei suoi giovani nel gennaio di quell’anno. L’8 dicembre del 1854, mentre a Roma il Papa Pio IX dichiarava “verità di fede” l’Immacolata Concezione di Maria Santissima, Domenico si inginocchia davanti all’altare della Madre di Dio nella chiesa di San Francesco di Sales, consacrandosi solennemente a lei: “Maria, vi dono il mio cuore; fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria siate voi sempre gli amici miei; ma per pietà fatemi morir piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere un solo peccato”. Sarà in questa medesima circostanza che gli nascerà nel suo cuore il desiderio di fondare quella che, ufficialmente costituita l’8 giugno 1856, sarà La Compagnia dell’Immacolata Concezione.
Domenico è allegro, amico fidato di tutti, specialmente di chi è in difficoltà; assiduo e costante negli impegni di studio. A Camillo Gavio, di Tortona, uno dei suoi migliori amici, confida: “Sappi che noi qui facciamo consistere la santità nello star molto allegri. Noi procureremo soltanto di evitare il peccato, come un gran nemico che ci ruba la grazia di Dio e la pace del cuore, di adempiere esattamente i nostri doveri, e frequentare le cose di pietà. Comincia fin d’oggi a scriverti per ricordo: Servite Domino in laetitia, serviamo il Signore in santa allegria”. Una gioia che è espressione di una vita vissuta in profonda e intima amicizia con Gesù e Maria, segno dell’azione rinnovatrice dello Spirito e di una santità gioiosa e contagiosa, che forma giovani apostoli capaci di attirare le anime a Dio. In questi mesi si lega in amicizia spirituale anche con Giovanni Massaglia: “Avevano ambedue la stessa volontà di abbracciare lo stato ecclesiastico, con vero desiderio di farsi santi”. Tale patto li aiuta a raggiungere grandi vette di vita cristiana, attraverso la condivisione delle esperienze spirituali e apostoliche, la pratica della correzione, l’obbedienza ai superiori. “Voglio che noi siamo veri amici”, aveva chiesto Domenico a Giovanni. E realmente furono “veri amici per le cose dell’anima”, avviando una scuola di santità giovanile caratterizzata da intensa vita di preghiera, spirito di sacrificio e laboriosità, gioiosa fecondità apostolica. Di Giovanni Massaglia don Bosco testimoniò: “Se volessi scrivere i bei tratti di virtù del giovane Massaglia, dovrei ripetere in gran parte le cose dette del Savio, di cui fu fedele seguace finché visse”.

L’Oratorio
Nell’oratorio c’erano ragazzi magnifici, ma c’erano anche mezze teppe che si comportavano male e c’erano ragazzi sofferenti, in difficoltà negli studi, presi dalla nostalgia di casa. Ognuno cercava individualmente di aiutarli. Perché i giovani più volenterosi non avrebbero potuto unirsi insieme, in una “società segreta”, per diventare un gruppo compatto di piccoli apostoli nella massa degli altri? Domenico, “guidato adunque dalla solita industriosa sua carità scelse alcuni de’ suoi fidi compagni, e li invitò a unirsi insieme con lui per formare una compagnia detta dell’Immacolata Concezione”. Don Bosco diede il proprio consenso: provassero, stendessero un piccolo regolamento. “Uno di quelli che aiutarono più efficacemente Domenico Savio nella fondazione e nella stesura del regolamento, fu Giuseppe Bongiovanni”. Dai verbali della Compagnia conservati nell’Archivio Salesiano, sappiamo che i componenti, che si radunavano una volta alla settimana, erano una decina: Michele Rua (che fu eletto presidente), Domenico Savio, Giuseppe Bongiovanni (eletto segretario), Celestino Durando, Giovanni Bonetti, Angelo Savio chierico, Giuseppe Rocchietti, Giovanni Turchi, Luigi Marcellino, Giuseppe Reano, Francesco Vaschetti. Mancava Giovanni Cagliero perché, convalescente dopo una grave malattia, viveva nella casa di sua madre. L’articolo conclusivo del regolamento, che fu approvato da tutti, anche da don Bosco, diceva: “Una sincera, filiale, illimitata fiducia in Maria, una tenerezza singolare verso di lei, una devozione costante ci renderanno superiori ad ogni ostacolo, tenaci nelle risoluzioni, rigidi verso di noi, amorevoli col nostro prossimo, ed esatti in tutto”. I soci della Compagnia scelsero di “curare” due categorie di ragazzi, che nel linguaggio segreto dei verbali furono chiamati “clienti”. La prima categoria era formata dagli indisciplinati, quelli che avevano la parolaccia facile e menavano le mani. Ogni socio ne prendeva in consegna uno e gli faceva da “angelo custode” per tutto il tempo necessario. La seconda categoria erano i nuovi arrivati. Li aiutavano a trascorrere in allegria i primi giorni, quando ancora non conoscevano nessuno, non sapevano giocare, parlavano solo il dialetto del loro paese, avevano nostalgia. Nei verbali si vede lo snodarsi di ogni singola riunione: un momento di preghiera, pochi minuti di lettura spirituale, un’esortazione vicendevole a frequentare la Confessione e la Comunione; “parlasi quindi dei clienti affidati. Si esorta la pazienza e la confidenza in Dio per coloro che sembravano interamente sordi e insensibili; la prudenza e la dolcezza verso coloro che promettonsi facili a persuasione”. Confrontando i nomi dei partecipanti alla Compagnia dell’Immacolata con i nomi dei primi “ascritti” alla Pia Società, si ha la commovente impressione che la “Compagnia” fosse la “prova generale” della Congregazione che don Bosco stava per fondare. Essa era il piccolo campo dove germinarono i primi semi della fioritura salesiana. La “Compagnia” divenne il lievito dell’oratorio.
I pochi mesi che Domenico vivrà ancora all’oratorio sono un’ulteriore conferma della sua deliberazione di farsi santo, particolarmente perseguita soprattutto dopo aver sentito una predica di don Bosco sul modo facile di farsi santo. “È volontà di Dio che ci facciamo tutti santi; è assai facile di riuscirvi; un grande premio è preparato in cielo a chi si fa santo”. Per Domenico quella predica fu come una scintilla che gli infiammò il cuore e subito si mise a praticare i consigli datigli da don Bosco: “Per prima cosa una costante e moderata allegria, e consigliandolo a essere perseverante nell’adempimento de’ suoi doveri di pietà e di studio, gli raccomandai che non mancasse di prendere sempre parte alla ricreazione coi suoi compagni”. Chi si accorse della statura morale e spirituale di Domenico fu Mamma Margherita, che un giorno confidò a don Bosco: “Tu hai molti giovani buoni, ma nessuno supera il bel cuore e la bell’anima di Savio Domenico”. E spiegò: “Lo vedo sempre pregare, restando in chiesa anche dopo gli altri; ogni giorno si toglie dalla ricreazione per far visita al SS.mo Sacramento… Sta in chiesa come un angelo che dimori in Paradiso”. Ed è grazie all’amore all’Eucaristia e alla devozione a Maria che questi giovani vivono e condividono un’intensa vita spirituale e mistica, di radicalità evangelica nell’obbedienza alla volontà di Dio, nello spirito di sacrificio, nella fecondità apostolica ed educativa tra i compagni, soprattutto i più difficili o emarginati.
La malattia
Con don Bosco, Domenico però rimane solo fino al 1° marzo 1857 quando, a causa di una malattia, che si presenta subito molto seria, deve tornare in famiglia, a Mondonio. In pochi giorni, pur tra qualche saltuaria speranza, la situazione precipita e Domenico si aggrava. Muore a Mondonio il 9 marzo 1857, serenamente ed esclamando: “Oh! Che bella cosa io vedo mai…”. La presenza di Maria segna tutta la storia di questo giovane, come Colei che lo accompagna nel realizzare la benedizione del Padre e la sua missione. La Chiesa riconosce la sua santità, pure se giovanissimo. Papa Pio XI lo definì un “piccolo, anzi grande gigante dello spirito”. Egli realizzò la verità del suo nome: Domenico, “del Signore”; e Savio “saggio”: dunque saggio nelle cose del Signore e autorevole per l’esemplarità e la santità della vita.
